Après 6 heures de voyage, nous voilà
enfin arrivés à Varèse, des souvenirs plein la tête. Nous pensons encore à
Cannes, que nous venons de quitter, le tapis rouge du Palais, le bord de mer, le
soleil de la Côte d’Azur. Entrer dans ce monde qu’est le cinéma aura été pour nous
une expérience magnifique. En effet, durant ces 5 jours, nous avons eu la
chance de pouvoir nous rendre au Festival de Cannes, qui est sûrement l’un des
plus prestigieux festivals de cinéma.
Ce matin encore, nous étions en train de
visionner notre dernier film, Ma’ Rosa,
film philippin de Brillante
Mendoza, concourant pour la Palme d’Or. Comme chaque jour, nous sommes arrivés
une bonne heure à l’avance pour être surs de pouvoir assister à la séance.
Pendant ces quelques jours, nous avions
la possibilité de voir de 1 à 3 films par jour, selon notre temps, mais aussi
selon notre chance. A Cannes, il arrive assez souvent de ne pas réussir à
rentrer dans les salles pour cause du nombre de personnes voulant assister à la
séance. Parfois après la séance de l’après-midi, nous avions l’occasion de
passer quelques heures sur les belles plages de Cannes et pour certains, même
de se baigner.
De tous les films que j’ai vus durant ces
5 jours, celui qui m’a le plus marqué est sans aucun doute Apprentice, film singapourien de Boo Junfeng, qui est présenté dans
la section Un Certain Regard.
Le jeune Aiman, ancien soldat, devient
gardien dans une prison de haute sécurité. Il est attiré malgré lui par le quartier
des condamnés à mort où il rencontre Rahim, le bourreau, qui lui propose de
devenir son assistant. Petit à petit, le spectateur comprend que le père du
protagoniste, coupable d’un meurtre terrifiant, a été exécuté des années
auparavant par ce même bourreau. Rahim apprend les ficelles de son métier à Aiman
qui se révèle être un exécutant très appliqué. A côté de son lourd métier, le
jeune homme vit seul avec sa sœur et à part cette dernière, on ne connaît rien
de sa famille.
Boo Jungeng a une façon particulière de
traiter le sujet difficile de la peine de mort. Il ne verse pas dans la caricature
du bourreau tortionnaire : Rahim explique à Aiman comment ne pas faire
souffrir le condamné, comment l’aider à partir sereinement, on le trouverait
presque bienveillant.
A la fin du film, Aiman est chargé de
l’exécution d’un trafiquant de drogue, et là, il se retrouve face sa propre conscience.
Doit-il accepter ce rôle de meurtrier, comme le bourreau qui a tué son
père ?
Un film francese,
inserito nella programmazione ACID (Association du Cinema Independant pour sa
Diffusion), con un titolo in italiano, Isola. La mente corre subito alla nostra
isola che tutto il mondo ha imparato a conoscere, e non per le sue bellezze naturali.
Ovviamente Lampedusa. E
Pomme-Hurlante-Films-Isola-Fabianny-Deschamps-Acid-Cannes-2016invece ci
troviamo su un’isola che è sì della provincia di Trapani, come indicano le
targhe automobilistiche, ma che in realtà è al tempo stesso una delle tante isole
del nostro Mar Mediterraneo, dalle alte bianche scogliere, immerse nella luce
abbacinante. È qui che vive Dai, una giovane Cinese, arrivata sull’isola da
pochi mesi, quanti sono serviti a far crescere quel bimbo, concepito altrove,
che porta ancora nel suo pancione. In attesa che il mare le porti presto l’uomo
che ama, vive, lei che ha perso tutto in un terremoto, nella grotta di una
cava, in un ‘appartamento’ composta da cameretta, in cui le bambole raccolte
nella spazzatura sono in attesa del nascituro, salotto, lavanderia e camera da
letto, una gabbia per cani, forse regalo del giovane che lavora al canile, uno
di quegli Italiani a cui Dai vende il suo corpo per 20 euro. «Per bebé e per
mia casa» dice in un italiano che contempla la conoscenza di altre pochissime
parole, come quel «Pagare» urlato al cliente che l’abbandona in lacrime e senza
soldi, dopo aver consumato sesso. Dal suo antro Dai fuoriesce per recarsi
nell’altra isola. Il centro in cui sono raccolti i naufraghi che quasi ogni
giorno il mare porta a riva; il molo dove le forze dell’ordine italiane fanno
sbarcare uomini abbandonati su barconi alla deriva e procedono alle prima
identificazione. Ognuno di noi in sala si fa fotografo e scatta la foto
segnaletica di uomini, donne, vecchi, bambini, dai colori e dai lineamenti del
volto diversi, senza nome, con il solo numero sul braccialetto al polso a dare
loro un’identità. Donne e uomini con una storia alle spalle che continua a
vivere solo in loro, perché troppo spesso mancano orecchi disposti ad ascoltare
le storie degli uomini, le loro vite. Come la storia della vita di Dai prima
del suo sbarco sull’isola. Dove viveva? Chi erano i suoi familiari, i suoi
amici? E il padre del bimbo che porta in grembo? E da cosa è fuggita?
La regista, Fabianny Deschamps,
non ci informa. Non è necessario. Dai ha imparato a vivere ovunque e vive più
vite contemporaneamente. Nel lucore dell’alba esce dal ventre della terra e la
seguiamo mentre, dandoci le spalle, affronta le abbaglianti scogliere, avvolta
in una lunga veste bianca, capelli neri sciolti al vento. Giunta sull’altra
spiaggia dell’isola, la sua spiaggia, accompagnata dai suoni della natura, come
una dea officia il suo rito, invocando il dio mare, perché le doni il suo
marinaio, il suo amore. È una delle scene più emozionati dell’intero film, un
momento sacro di unione tra lo spirito di Dai e l’anima del mare: la giovane
donna flette il busto sino a sfiorare con le labbra la sabbia, intanto che le
acque del mare arrivano a lei, per congiungersi in un immaginario bacio. Ed un
giorno il mare esaudisce la preghiera e le dona non il suo uomo, ma un Berbero,
Hichem. Per Dai è lui il padre del figlio che nascerà e insieme un giorno
vivranno in una bellissima casa, grazie ai soldi che lei si sta procurando. Nel
frattempo, perché non scappi anche il nuovo sposo, Dai rinchiude Hichem, come
se fosse il suo cane, nella gabbia e lo assiste e lo cura amorevolmente. Purché
sia colmato il suo vuoto affettivo, non importa se suo marito non capisca nulla
di ciò che gli dice (l’uomo traduce Zhen, il nome dell’uomo che non è mai
arrivato, in un suono, Djinn, che nella sua lingua significa “spirito
maligno”), né le importa di comprendere ciò che lui invano, tra terrore e
disperazione, cerca di dirle. Non le serve sapere chi Hichem sia, da dove
venga, chi abbia lasciato quell’uomo che ora è il suo uomo, nella sua casa,
sulla sua isola. Del resto, sull’isola, nel resto del mondo non c’è nessuno a
cui importa di Dai, di Hichem e di quel bimbo, che forse non nascerà mai, se la
terra tornerà ancora una volta a tremare sotto i suoi piedi.
Cinque cortometraggi per
chiudere
L’ultimo spettacolo a cui
abbiamo avuto l’onore di assistere è un programma di cinque cortometraggi che
vediamo prima di partire nella Sala Buñuel, in cima al Palais. Questi brevi
frammenti, provenienti da tre continenti, rappresentano uno stacco rispetto
alla routine cinematografica dei giorni scorsi; a presentarli ci sono tutti e
cinque i registi.
Alexandru BadeaSi
succedono davanti ai nostri a occhi cinque brevi storie di tematica e
ambientazione molto diverse fra loro. Aram, dell’iraniana F. Parnian, racconta
dell’esperienza lavorativa di una giovane donna, licenziata dal suo capo forse
a causa di una loro relazione appena suggerita; In the hills, scritto anch’esso
da un regista iraniano, H. Ahmadi, si concentra sulla ricerca di intimità di un
uomo solo, Shahram, impegnato in incontri sessuali con giovani coppie per la
pura curiosità di penetrare per una notte nella loro vita privata; il terzo, A
nyalintàs nesze (The Noise of Licking) dell’ungherese N. Andrasev, è un cartone
animato al limite del surreale incentrato su due vicine di casa e sul gatto di
una di loro; il quarto, La culpa, probablememte(The Guilt, Probably) del
venezuelano M. Labarca, è ispirato ad alcuni momenti della vita del regista
stesso e ci fa assistere, nel buio di un black-out notturno, ad un dialogo tra
un uomo sposato (idealmente il padre del regista), la sua amante e la figlia di
lei. Dal sapore autobiografico, infine, anche l’ultimo corto, Toate fluviile
curg în mare (All Rivers Run to the Sea) del rumeno Alexandru Badea (vedi
immagine), che racconta la difficoltà di Radu ad accettare la morte di sua
madre.
Nel complesso, i cinque
cortometraggi non ci hanno soddisfatto appieno: le storie partono tutte da
spunti interessanti, ma appaiono prive di conclusione, come estrapolate da una
storia più ampia; ciò ne rende difficile l’interpretazione. Riconosciamo,
tuttavia, in particolare agli ultimi due corti una maggiore profondità
tematica, una capacità espressiva ed un impatto emotivo sullo spettatore che ci
hanno colpiti.
Une Excellente présentation de la dernière affiche de Cannes
au bon souvenir de Jean-Luc Godard, de Michel Piccoli,
de Brigitte Bardot et ... de Malaparte et de Capri
Visivamente
elegante, come sempre, la locandina destinata a presentare in questo 2016
l’annuale rassegna della Croisette vuole, analogamente a quelle degli ultimi
anni, celebrare un passato glorioso, gli anni d’oro delle rassegne
cinematografiche. E lo fa scegliendo un fotogramma di Le Mépris, “Il disprezzo”, coproduzione italo-francese del 1963,
sesto lungometraggio e tra i capolavori assoluti di Jean-Luc Godard, forse il
più geniale, sicuramente il più imitato, tra i registi della Nouvelle Vague. La marmorea scalinata è quella della villa di
Curzio Malaparte a Capri, spazio quasi metafisico, bagnato dal sole e immerso
nel blu del Mediterraneo. Nel Disprezzo la
villa, che vediamo stagliarsi verso la linea dell’orizzonte, è il set scelto
per girare un adattamento dell’Odissea.
A dirigerlo, novello Omero, è Fritz Lang. Paul Javal, interpretato da Michel
Piccoli, è invece lo sceneggiatore, che vediamo condividere la propria,
difficile, vita matrimoniale con la moglie Camille, una Brigitte Bardot di
abbacinante bellezza.
Il rapporto amoroso è invariabilmente drammatico,
minato da gelosie e risentimento, frammentato dalle lacrime e dai sussurri: “je te méprise”, dice Camille dopo l’ennesimo
litigio. Camille cederà alla fine alle lusinghe di un volgare produttore
cinematografico americano, Prokosch. E il destino sarà tragico.
Dietro
il lussureggiante technicolor e la perfetta composizione coloristica, dietro a
piani sequenza e a dialoghi coltissimi, Godard intende mostrare il
cortocircuito tra cinema e realtà . Ed è rilevante in tal senso l’utilizzo nel
ruolo di sé stesso di uno dei padri della settima arte, Fritz Lang, ormai
cinico e disincantato sul futuro del suo film; e anche il gusto già postmoderno
con cui si citano Viaggio in Italia e
Dante, Qualcuno Verrà e Holderlin. E ancora, significativamente, il
personaggio interpretato dalla Bardot porta il vero nome dell’attrice, Camille
Javal. In una delle primissime inquadrature sentiamo la voice off del regista che, citando André Bazin, afferma che “il cinema sostituisce al nostro sguardo il
mondo che desideriamo”, mentre la macchina da presa lentamente si gira
verso lo spettatore: la storia, o la vita stessa, può incominciare.
L’opera
omonima - “un volgare e grazioso romanzo da stazione” nelle parole di Godard -
di Alberto Moravia, da cui è tratta la pellicola, diventa allora un mero
pretesto per intessere una compiuta riflessione sulla realtà e la finzione. E
sulla difficoltà relazionale e comunicativa dell’uomo come dell’artista, sottolineata
dalla babele linguistica - francese, italiano, tedesco, inglese - che nell’edizione italiana, sfregiata dai
tagli e dal doppiaggio voluti dal produttore Carlo Ponti, si viene però a
perdere. D’altronde, il desiderio di Ponti era quello di ottenere un film
facilmente vendibile, che potesse essere apprezzato dal grande pubblico, se non
altro per le grazie di B.B.; non certo una storia d’amore malinconica e dolorosa
che si apre alle più disparate chiavi di lettura, in cui anche l’erotismo è
freddamente intinto di tragedia.
Considerato
ormai un classico, un testo base dell’arte
cinematografica, Le Mépris rimane poderosamente
moderno per forma e contenuti veicolati. La scelta per il manifesto della
rassegna di Cannes di quest’anno è quindi perfettamente calibrata. L’opera di
Godard sembra non limitarsi ad essere un’effigie del passato, ma si rivela
capace ancora di mettere in discussione il ruolo che l’uomo attribuisce al
cinema e - perché no? - a quell’arte plurimillenaria per cui si deve
ringraziare lo stesso Omero: quella di raccontare storie.
Ci presentiamo al Palais per Leçon de Cinema, senza sapere
con certezza cosa aspettarci. Entriamo e ci troviamo circondati da una massa
brulicante di persone: chi elegantissimo, chi stupito dall’immensità della
struttura e chi, come noi, non ha un outfit che potrebbe definirsi propriamente
tenue correcte (come richiede l’invitation). Saggia scelta è quella di prendere
l’ascensore, che ci permette di “saltare” una parte di coda. Seduti nella sala
Buñuel, aspettiamo che le luci si spengano e cominci una proiezione, ma
all’improvviso compaiono sul palco due distinti 20160518_170557signori, accolti
da una standing ovation. Solo più tardi capiamo che si tratta niente di meno
che William Friedkin, e che ad omaggiarlo in sala siede il grande Bertrand
Tavernier. In realtà non avevamo nemmeno idea di chi fosse questo americano
“easy to talk to”, dalla battuta facile e un altissimo livello di umiltà.
Scopriamo presto che si tratta di una delle figure più influenti del cinema
holliwoodiano, se non che il regista del famosissimo L’esorcista. Pur non
conoscendo la maggior parte dei film su cui si è discusso, abbiamo comunque
cercato di comprendere quanto più possibile di questo interessante personaggio.
L’intervista è stata sostanzialmente dedicata alla realizzazione dei film (con
la visione di alcune clips significative) e allo sviluppo della carriera del
regista di Il braccio violento della legge, vincitore di ben cinque oscar. Le
parti più interessanti, a nostro parere, sono state quelle in cui Friedkin ha
parlato in modo più generale di come sceglie gli attori, in che modo si
relaziona con il personaggio che interpretano, senza dimenticare le varie
componenti che hanno reso speciale ognuno dei suoi capolavori. Ci ha
particolarmente affascinato la sua opinione sul fanatismo religioso e sulla
fede, scaturite dal commento all’Esorcista. Sicuramente non ci aspettavamo che
fosse stato chiamato direttamente dal Vaticano per filmare una vera pratica di
esorcismo: siamo rimasti letteralmente a bocca aperta! Questo grande artista ci
ha colpito non soltanto dal punto di vista cinematografico, ma anche da quello
umano: con ironia e umiltà ci ha parlato della sua vita privata e anche dei
suoi fallimenti, che non lo hanno mai scoraggiato, ma, al contrario, lo hanno
fatto crescere e migliorare.
Il sole è il protagonista
di questa fantastica giornata, per noi iniziata con un po’ di sfortuna: siamo
stati “riufiutati” all’entrata di Mal des pierres FullSizeRender (2)(regia di
Nicole Garcia, proiettato nella Sale du Soixantième) e poi tagliati fuori, dopo
un’ora di coda sotto il sole cocente di mezzogiorno, dall’entrata al Palais per
Hell or high water (regia di David Mackenzie, proiettato nella Sale Debussy).
Tuttavia abbiamo avuto modo di rimediare con una pausa, fra sabbia calda,
gelato e il suono rilassante delle onde del mare.
La punta di diamante
della giornata però è stata la visione di Neruda, film di Pablo Larrain (No, i
giorni dell’arcobaleno e El Culb) proiettato nel teatro Alexandre III.
All’inizio sembrava far parte dell’andamento non del tutto positivo della
giornata. Eravamo seduti tranquillamente cercando di immergerci nella trama del
film, che era iniziato più o meno da mezz’ora, quando all’improvviso un grido
di donna si leva dal silenzio: un terremoto? Un attentato? Un omicidio?!?
Paralizzati nel buio abbiamo capito solo dopo svariati attimi di terrore che si
trattava di un malessere in sala. Tutto fortunatamente si è risolto per il
meglio e il signore si è alzato chiedendo addirittura scusa, tra i sorrisi un
po’ imbarazzati di tutti. Il film poi si è rivelato una vera sorpresa:
ambientazioni realistiche, un’infinita cura per i dettagli e una straordinaria
fotografia, come sempre nei film del regista cileno, unite ad una trama avvincente
e mai scontata con attori molto capaci, hanno fatto di questo film un
capolavoro sulla vita di uno dei principali esponenti della resistenza cilena
nel dopoguerra, senza renderla neruda-luis-gnecconoiosa ma facile da seguire. I
fatti si incentrano sul periodo da latitante del poeta Pablo Neruda,
caratterizzato qui dal forte impegno politico nel partito comunista e dalla sua
influenza popolare, ma anche dalle debolezze e vizi che lo rendono
drammaticamente “umano”. La cosa sorprendente però è che l’intera storia è
narrata dalla seducente voce del suo “inseguitore”, un ispettore apparentemente
freddo e deciso, ma in realtà più vicino è affascinato dalla figura di Neruda
di quanto non voglia far credere. La ricerca spietata del poeta latitante
diventa quasi come una storia d’amore, fatta di ossessione e coincidenze
mancate. Tocco di stile sono le citazioni di poesie dalle opere di Neruda che
intervallano e alleggeriscono la narrazione filmica. Insomma, un capolavoro da
non perdere.
Come alunni della sezione EsaBac
del Liceo Cairoli di Varese, nel corso dei quattro anni passati in questa
scuola abbiamo avuto modo più volte di interagire direttamente -attraverso
scambi culturali, stages e visite di istruzione- con la Francia e con la
cultura e le tradizioni del popolo francese. L'anno scorso, grazie al nostro
docente di lingua francese, il prof. Zerba, abbiamo avuto modo di partecipare
per la prima volta al Festival di Cannes 2015, seppur per un solo giorno. Siamo
stati accolti in una delle sale adibite alla rassegna e abbiamo potuto
visionare due film -di cui uno era il pluripremiato A Perfect Day, regia di
Fernando Leòn de Aranoa. Possiamo quindi dire di aver annusato, seppur brevemente,
l'atmosfera del Festival cinematografico francese e di averne intuito la
portata. Il progetto che ci viene proposto quest'anno dai nostri docenti di
Francese e Greco e Latino, i professori Carletto Zerba e Angela Todisco, è però
totalmente diverso e mirato, rispetto a quella che era stata l'uscita dello
scorso anno. Durante l'intero anno scolastico infatti abbiamo partecipato a un
corso pomeridiano di 'avviamento al cinema', organizzato assieme a
Filmstudio90. Incontro dopo incontro anche chi di noi non si era mai
approcciato alla cultura cinematografica ha potuto imparare a gestire una
recensione attraverso l'analisi di una pellicola e attraverso le nozioni
fondamentali di inquadratura, piano, campo, struttura delle sequenze e così
via. L'esperienza al Festival di Cannes 2016 che ci aspetta tra pochi giorni
sarà quindi una vera e propria 'prova sul campo', favoriti dall'aver già
parzialmente conosciuto la città e l'ambiente ma soprattutto dall'aver
acquisito nozioni e un metodo che ci permetterà di sfruttare al meglio
l'esperienza. Parlando tra di noi e con la nostra prof. abbiamo pensato di
dividerci in piccoli gruppi, in modo che ciascuno possa sfruttare le proprie
conoscenze e passioni in un luogo diverso della città: alcuni di noi si
occuperanno di scattare fotografie, altri di girare brevi video a testimoniare
l'esperienza, altri ancora hanno immaginato delle interviste flash,
rigorosamente in francese, da sottoporre agli altri spettatori all'uscita delle
sale per imprimere quelle che sono le prime impressioni 'a caldo' dopo la
visione di un film. E naturalmente ci dedicheremo anche alla scrittura di
recensioni: le immaginiamo sia di poche righe subito all'uscita dalla sala, sia
più ragionate e elaborate, magari dopo una discussione tra di noi sulla spiaggia
della città francese. A breve Alessandro Leone e Monica Cristini, i nostri
referenti di Filmstudio90, ci spiegheranno come rapportarci con la rivista
online Cinequanon e come pubblicare direttamente da Cannes i nostri reportages.
Non sappiamo come sarà quest'esperienza, abbiamo tante idee in testa e tante
aspettative. Quello che è certo è che questa resterà un'esperienza unica nel
nostro percorso scolastico, che necessiterà sicuramente un certo impegno da
parte nostra, ma che sarà anche un'occasione di svago sotto al sole caldo di
Cannes. Classe II D Leonardo: Da appassionato di cinema, l'esperienza dell'anno
scorso a Cannes è stata veramente interessante, per quanto solo un “assaggio”
di quello che è il Festival. Quest'anno, in seguito al corso che abbiamo
seguito a scuola, mi aspetto una settimana in cui ci rapporteremo al cinema con
più affinati strumenti di analisi. Giulia: Mi è sempre piaciuto andare al
cinema e frequento da anni la sala Filmstudio90, per questo a settembre è stata
davvero una sorpresa quando ho saputo di questo progetto! Ho guardato la lista
di lungometraggi in concorso al Festival e ho visto che tra questi ci sono
anche alcuni film italiani, che spero di riuscire a vedere. Jacopo: Ho sempre
amato il cinema e sono entusiasta per la proposta offertami! Giada: Ho grandi
aspettative per questa nuova esperienza: oltre alla visione di film, avrò
l'opportunità di relazionarmi con gli altri spettatori, di intervistarli e di
raccogliere le loro prime impressioni. Matteo: Personalmente trovo l'esperienza
offertaci dalla prof.ssa Todisco in collaborazione con Filmstudio90 come un
unicum, che possa esserci di grande utilità sia per sviluppare il nostro senso
critico nei confronti dell'arte come nella vita di tutti i giorni, sia per
venire a contatto col mondo del giornalismo in maniera più innovativa e più
'vivida'. Potrà sicuramente essere d'interesse sia per coloro che sono
appassionati della cinematografia, sia per coloro che ne trovano soltanto un
passatempo piacevole, e penso che domenica partiremo tutti entusiasti per
impegnarci al massimo in un'iniziativa come questa. Giorgia: Da Cannes mi
aspetto di riuscire a capire meglio cosa ci sia dietro quella pellicola di 90
minuti che guardo seduta sulla mia poltroncina rossa, respirando -per qualche
giorno- cinema. Emma: Mi sento fortunata di poter andare al Festival di Cannes
con la scuola. Il cinema mi piace tantissimo da quando ero piccola, ma non ho
spesso l'opportunità di vedere film d'autore. Agata: Spero di entrare
nell'atmosfera del festival vero e proprio per 'smontare' e analizzare i film
anche attraverso il confronto con gli altri. Alice: Sono molto contenta di
poter avere l'opportunità di vivere quest'esperienza! Non vedo l'ora di
immergermi nell'atmosfera vivace e multiculturale che sono sicura caratterizzi
uno dei più importanti festival del cinema, in un'aria di festa e appassionato
interesse. Federico: Mi aspetto che l’esperienza di Cannes sarà molto
entusiasmante: dopo il percorso, certo impegnativo ma anche stimolante, che
abbiamo seguito durante questi mesi, il Festival non può che essere la
conclusione migliore. Avremo contemporaneamente la possibilità di muoverci con
libertà in uno dei più importanti eventi cinematografici del mondo e di mettere
in pratica quello che abbiamo imparato con i professori e l’associazione
Filmstudio90: non vedo l’ora della partenza!
Dossier spécial
Cannes. Soixante-dix ans après la première édition du Festival de Cannes, Le
Magazine littéraire publie un numéro spécial. Il laisse la parole aux écrivains
sur la fièvre cannoise : ils y évoquent leur propre expérience de la croisette
(avec notamment des textes d’archives de Jean Cocteau, Georges Simenon ou
Marguerite Duras) ou des figures et films ayant marqué certaines éditions, de
Visconti à Kechiche, en passant par Sailor et Lula, Les Oiseaux, les Dardenne
ou les Coen. Avec les contributions de Daniel Pennac, Zoé Valdés, Orhan Pamuk,
David Cronenberg, Brigitte Aubert, Philippe Besson, Christophe Donner, David
Foenkinos, Camille Laurens, Sylvie Germain, Patrick Grainville...
Les Américains
ont leur usine à rêves : Hollywood. La nôtre, c’est le Festival de Cannes.
D’ailleurs, en réalisant sa toute première affiche, le peintre Jean-Gabriel
Domergue l’avait baptisée en convoquant Baudelaire « L’invitation au voyage ».
Mais il est une vitrine qui renvoie parfois d’inquiétants reflets de l’air du
temps. Rien de moins qu’une perte de prestige de la littérature et, partant,
des écrivains. Songez qu’il fut un temps où ceux-ci composaient jusqu’à la
moitié du jury, présidé d’ailleurs par l’un des leurs ! Depuis, ils en ont été
évincés au profit quasi exclusif des gens de cinéma, artistes et techniciens
délibérant entre professionnels de la profession.
Dal 15 al 19
maggio gli studenti della classe II, della sezione Esabac del Liceo classico
“E. Cairoli” di Varese, accompagnati dai docenti Carlo Zerba e Angela Todisco,
parteciperanno al Festival di Cannes 2016, in veste di “inviati speciali” della
Rivista cinematografica “Cinequanonline” (www.cinequanon.it). Ogni giorno i
giovani critici cinematografici, dalla redazione che costituiranno nel Lycée
international de Valbonne (www.civfrance.com)
che li ospiterà, invieranno sulla rivista “Cinequanonline”, sul sito del liceo
(www.liceoclassicovarese.gov.it)
e sul blog del prof. Zerba (http://memoiresdeprof.blogspot.it/)
recensioni dei film, foto, video, interviste, reportage. Si tratta di
un’iniziativa che chiude il progetto “Cinema: istruzioni per l’uso”, che la
scuola ha realizzato con l’Associazione Filmstudio ’90 / Rivista “Cinequanon on
line” (Alessandro Leone – Monica Cristini). Durante l’anno scolastico gli
studenti sono stati impegnati in un corso organico dedicato al cinema, durante
il quale alla visione di film in lingua francese sono state affiancate attività
di analisi dell’immagine cinematografica, delle locandine di film (lezione
tenuta da Ermanno Cristini) e di scrittura di recensioni. Per gli studenti del
corso Esabac del Liceo classico di Varese la partecipazione al Festival di
Cannes costituisce già da anni una tra le più importanti attività
extracurricolari. Quest’anno per la prima volta quest’esperienza scolastica,
che non a tutti è data l’opportunità di vivere, potrà essere condivisa grazie
alla “speciale” redazione di giovani critici cinematografici che giorno per
giorno direttamente dalla Croisette ci terranno informati.
La conferenza
stampadi presentazione dell’iniziativa si terrà mercoledì 11 maggio, ore 09:00
presso l’aula della classe II D del Liceo Classico “E. Cairoli” di Varese.