Une Excellente présentation de la dernière affiche de Cannes
au bon souvenir de Jean-Luc Godard, de Michel Piccoli,
de Brigitte Bardot et ... de Malaparte et de Capri
Visivamente
elegante, come sempre, la locandina destinata a presentare in questo 2016
l’annuale rassegna della Croisette vuole, analogamente a quelle degli ultimi
anni, celebrare un passato glorioso, gli anni d’oro delle rassegne
cinematografiche. E lo fa scegliendo un fotogramma di Le Mépris, “Il disprezzo”, coproduzione italo-francese del 1963,
sesto lungometraggio e tra i capolavori assoluti di Jean-Luc Godard, forse il
più geniale, sicuramente il più imitato, tra i registi della Nouvelle Vague. La marmorea scalinata è quella della villa di
Curzio Malaparte a Capri, spazio quasi metafisico, bagnato dal sole e immerso
nel blu del Mediterraneo. Nel Disprezzo la
villa, che vediamo stagliarsi verso la linea dell’orizzonte, è il set scelto
per girare un adattamento dell’Odissea.
A dirigerlo, novello Omero, è Fritz Lang. Paul Javal, interpretato da Michel
Piccoli, è invece lo sceneggiatore, che vediamo condividere la propria,
difficile, vita matrimoniale con la moglie Camille, una Brigitte Bardot di
abbacinante bellezza.
Il rapporto amoroso è invariabilmente drammatico,
minato da gelosie e risentimento, frammentato dalle lacrime e dai sussurri: “je te méprise”, dice Camille dopo l’ennesimo
litigio. Camille cederà alla fine alle lusinghe di un volgare produttore
cinematografico americano, Prokosch. E il destino sarà tragico.
Dietro
il lussureggiante technicolor e la perfetta composizione coloristica, dietro a
piani sequenza e a dialoghi coltissimi, Godard intende mostrare il
cortocircuito tra cinema e realtà . Ed è rilevante in tal senso l’utilizzo nel
ruolo di sé stesso di uno dei padri della settima arte, Fritz Lang, ormai
cinico e disincantato sul futuro del suo film; e anche il gusto già postmoderno
con cui si citano Viaggio in Italia e
Dante, Qualcuno Verrà e Holderlin. E ancora, significativamente, il
personaggio interpretato dalla Bardot porta il vero nome dell’attrice, Camille
Javal. In una delle primissime inquadrature sentiamo la voice off del regista che, citando André Bazin, afferma che “il cinema sostituisce al nostro sguardo il
mondo che desideriamo”, mentre la macchina da presa lentamente si gira
verso lo spettatore: la storia, o la vita stessa, può incominciare.
L’opera
omonima - “un volgare e grazioso romanzo da stazione” nelle parole di Godard -
di Alberto Moravia, da cui è tratta la pellicola, diventa allora un mero
pretesto per intessere una compiuta riflessione sulla realtà e la finzione. E
sulla difficoltà relazionale e comunicativa dell’uomo come dell’artista, sottolineata
dalla babele linguistica - francese, italiano, tedesco, inglese - che nell’edizione italiana, sfregiata dai
tagli e dal doppiaggio voluti dal produttore Carlo Ponti, si viene però a
perdere. D’altronde, il desiderio di Ponti era quello di ottenere un film
facilmente vendibile, che potesse essere apprezzato dal grande pubblico, se non
altro per le grazie di B.B.; non certo una storia d’amore malinconica e dolorosa
che si apre alle più disparate chiavi di lettura, in cui anche l’erotismo è
freddamente intinto di tragedia.
Considerato
ormai un classico, un testo base dell’arte
cinematografica, Le Mépris rimane poderosamente
moderno per forma e contenuti veicolati. La scelta per il manifesto della
rassegna di Cannes di quest’anno è quindi perfettamente calibrata. L’opera di
Godard sembra non limitarsi ad essere un’effigie del passato, ma si rivela
capace ancora di mettere in discussione il ruolo che l’uomo attribuisce al
cinema e - perché no? - a quell’arte plurimillenaria per cui si deve
ringraziare lo stesso Omero: quella di raccontare storie.
Gabriele
Franchi I D ESABAC
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